Questo ho preso dal lezionario certosino sul sito della Certosa di Serra San Bruno, il quale si trova qui: www.certosini.info
Discorso di papa Paolo VI a Montecassino.
Osservatore Romano del 25 ottobre 1964.
La Chiesa ha bisogno ancor oggi della vita monastica; il mondo ancor oggi ne ha bisogno. Ci dispensiamo di recarne le prove, che del resto ciascuno vede scaturire da sé dalla sola nostra affermazione: sì, la Chiesa e il mondo, per differenti ma convergenti ragioni, hanno bisogno che san Benedetto esca dalla comunità ecclesiale e sociale e si circondi del suo recinto di solitudine e di silenzio, e di lì ci faccia ascoltare l’incantevole accento della sua pacata ed assorta preghiera, di lì quasi ci lusinghi e ci chiami alle soglie claustrali, per offrirci il quadro di un’officina del divino servizio, di una piccola società ideale, dove finalmente regna l’amore, l’obbedienza, l’innocenza, la libertà dalle cose e l’arte di bene usarle, la prevalenza dello spirito, la pace, in una parola, il Vangelo.
San Benedetto ritorni per aiutarci a ricuperare la vita personale; quella vita personale, di cui oggi abbiamo brama e affanno e che lo sviluppo della vita moderna, a cui si deve il desiderio esasperato dell’essere noi stessi, soffoca mentre lo risveglia, delude mentre lo fa cosciente. Ed è questa sete di vita personale che conserva all’ideale monastico la sua attualità.
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Correva l’uomo una volta, nei secoli lontani, al silenzio del chiostro, come vi corse Benedetto da Norcia, per ritrovare se stesso: ma allora questa figura era motivata dalla decadenza della società, dalla depressione morale e culturale di un mondo, che non offriva più allo spirito possibilità di coscienza, di sviluppo, di conversione; occorreva un rifugio per ritrovare sicurezza, calma, studio, preghiera, lavoro, amicizia, fiducia.
Oggi non la carenza della convivenza sociale spinge al medesimo rifugio, ma l’esuberanza. L’eccitazione, il frastuono, la febbrilità, l’esteriorità, la moltitudine minacciano l’integrità dell’uomo: gli manca il silenzio con la sua genuina parola interiore, gli manca l’ordine, gli manca la preghiera, gli manca la pace, gli manca se stesso. Per riavere dominio e godimento spirituale di sé ha bisogno di riaffacciarsi al chiostro benedettino. E ricuperato l’uomo a se stesso nella disciplina monastica, è ricuperato alla Chiesa.
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Noi non diremo nulla adesso della funzione che il monaco, l’uomo ricuperato a se stesso, può avere, non solo rispetto alla Chiesa — come dicemmo — ma al mondo; al mondo stesso, che egli ha lasciato, e a cui rimane vincolato per le nuove relazioni, che la sua lontananza stessa viene a produrre con lui: di contrasto, di stupore, di esempio, di possibile confidenza e segreta conversazione, di fraterna complementarietà.
Diciamo soltanto che questa complementarietà esiste, e assume un’importanza tanto maggiore quanto più grande è il bisogno che il mondo ha dei valori custoditi nel monastero, e vede non a lui rapiti, ma a lui conservati, a lui presentati, a lui offerti. Il fatto, ripeto, è così grande e importante, che tocca l’esistenza e la consistenza di questa nostra vecchia e sempre vitale società, ma oggi tanto bisognosa di attingere linfa nuova alle radici donde trasse il suo vigore e il suo splendore, le radici cristiane che san Benedetto per tanta parte le diede e del suo spirito alimentò.
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Due elementi, infatti, fanno tuttora desiderare l’austera e soave presenza di san Benedetto nel mondo moderno: per la fede che egli e i suoi monaci predicarono nella famiglia dei popoli; la fede cristiana, la religione della nostra civiltà, quella della santa Chiesa, madre e maestra delle genti; e per l’unità a cui il grande Monaco solitario e sociale ci educò fratelli, e per cui l’Europa fu la cristianità.
Fede ed unità: che cosa di meglio potremmo desiderare e invocare per il mondo intero? Che cosa di più moderno e di più urgente? E che cosa di più difficile e di più contrastato? Davvero nulla pare più necessario e più utile per la pace della fede e dell’unità.
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